Sono le 5:30 del pomeriggio a Santa Rita de Castilla, piccolo paesino di 2000 abitanti sulla riva del Rio Marañon. Qui non c’è elettricità e si beve acqua piovana raccolta dalle grondaie che corrono lungo i tetti in lamiera, o più semplicemente si beve l’acqua del fiume. Io e Mattia siamo seduti a cena nella mensa della parrocchia, il menu prevede riso, zuppa di pesce e un paio di banane a testa, sostanzialmente lo stesso del pranzo e della colazione, oggi come i due giorni precedenti, nessuno di noi pensa che domani cambierà. Siamo al terzo giorno di un incontro formativo organizzato dalla parrocchia al quale sono stati invitati rappresentati delle comunità indigene del distretto. Sono arrivati in 23 nella capitale del distretto, alcuni con un paio di giorni di ritardo, altri che avrebbero dovuti affrontare 8 giorni di viaggio lungo il fiume per arrivare hanno dovuto rinunciare. Nei giorni precedenti Io e Mattia abbiamo parlato di attualità, elezioni e cambio climatico, domani si parlerà di consulta previa. A cena seduta di fronte a me c’è Marilu, nel tavolo vicino tre capi comunità parlano tra di loro. Marilu li ascolta, alza lo sguardo, ci guarda e comincia a raccontare:
“Stanno parlando della marcia che hanno fatto. Una manifestazione che hanno fatto i dipendenti del Grupo Romero perché si ammalano tutti lavorando. E non solo loro, anche la gente del posto si ammala per tutti gli scarichi e l’inquinamento, buttano tutto nel fiume. E protestano anche per il salario troppo basso. Li pagano 17 soles al giorno (meno di 5€) per lavorare 12 ore. Anche mio marito lavora nei campi di palme del Grupo Romero. Si alzano alle 2 di notte per prepararsi, alle 3 distribuiscono la colazione e poi vanno a lavorare, fino alle 5 del pomeriggio. Lavorano tutto il giorno e poi non hanno le forze per fare altro e devono andare a dormire, perché il giorno dopo si alzano di nuovo alle 2. Non ci sono ferie, non ci sono feste, ti pagano solo i giorni che lavori e solo se sei abbastanza produttivo. E gli uomini sono costretti a lottare tra di loro e sono in competizione per essere produttivi, perché sennò non ti pagano. Mio marito in tre anni è tornato a casa tre volte. In tre anni ho visto mio marito tre volte, e solo perché stava male. Lui annaffia le piante con i prodotti chimici, senza mascherina ne nessuna protezione, tutti i giorni per 12 ore. In tanti si ammalano. Anche per questo protestavano e con loro protestava la gente del paese. Però, appena hanno deciso di fare la manifestazione, il governo ha mandato la polizia perché il presidente e anche gli ex presidenti e molti congressisti, sono tutti dentro al Grupo Romero, lavorano tutti là e fanno i loro interessi e quindi mandano la polizia. Hanno fatto questa marcia e c’erano tantissimi poliziotti ai lati della strada, la gente era dalla parte dei lavoratori ma non potevano unirsi alla marcia, c’era troppa polizia.
Poco tempo fa hanno trovato due ragazzi morti in una cisterna. Stavano pulendo e sono rimasti asfissiati dai gas che respiravano, li hanno trovati tre giorni dopo. Uno dei due era sposato e hanno dato 2000 soles (meno di 600€) alla moglie. Nessuno è andato a reclamare il cadavere dell’altro e così non hanno dato niente. Anche mio marito ha rischiato. È stato molto male perché respirava continuamente i prodotti chimici che dà alle piante e così l’hanno portato all’ospedale di Yurimaguas. Io in quei giorni continuavo a chiamarlo al cellulare perché non avevo più sue notizie, ma lui non mi rispondeva mai. Un giorno mi ha risposto e mi ha detto che non lasciavano che rispondesse al telefono e che c’era riuscito ora solo perché l’infermiera si era distratta. Mi ha detto che era in ospedale da qualche giorno, che lì c’erano tanti altri lavoratori malati e non li lasciavano chiamare. Io gli ho detto che sarei partita subito per andare da lui, ma mi ha detto di non andare, che tanto non mi lasciavano entrare. Quando si sono accorti che mi aveva telefonato l’hanno portato via dall’ospedale e l’hanno trasferito nell’infermeria che hanno dentro la fabbrica, così nessuno sarebbe potuto entrare. Io…”
“Se mi date i piatti li lavo” interrompe una voce. È la cuoca, gl’altri hanno già sgomberato la mensa e lei sta sistemando le cose. “No no, li laviamo noi” rispondiamo. Io, Mattia e Marilu ci alziamo. C’è una bacinella con acqua e detersivo e una con solo acqua. Laviamo lì i piatti e su due bacinelle identiche ci laviamo allo stesso modo le mani. Io e Mattia ci giriamo, Marilu sta già chiacchierando con altri. La nostra chiacchierata finisce così, ora è il momento di prepararsi, tra un’ora farà buio e ognuno andrà nelle stanze. Mi resta tutta la sera per pensare a quanto io sia fortunato.
Riccardo e Mattia da Iquitos
Ho letto varie volte il racconto e con tristezza, constato che state toccando con mano quello che la generazione prima della vostra ha vissuto qualche decennio fa nel nostro occidente che si considera “avanzato”. Finche i luminari dell’economia (avidità) insistono per cambiare le “regole” ho il dubbio che intendano tornare al passato e quindi per le future generazioni non saranno rose e fiori perché di Romero il mondo è pieno e certamente loro, come i “Conti o latifondisti” della prima parte del secolo scorso non sono tanto disposti a capire che il benessere non sta nell’accumulo ma nella condivisione delle ricchezze.
La speranza di un mondo migliore però è l’ultima a morire.