Quando si tratta di fare il bilancio dei primi sei mesi di Servizio Civile mi si annebbia la mente, come prima di un esame quando hai così tante cose da raccontare che non te ne esce nemmeno una. Sicuramente sono stati sei mesi molto intensi, anche se si sono alternati periodi in cui mi sono bellamente annoiata a momenti dove ci si rimboccava le maniche dalla mattina presto alla sera tardi (cosa assolutamente normale per le abitudini locali). Le impressioni e le sensazioni sono in parte cambiate, in parte rimaste uguali dal primo momento in cui ho messo piede in Guatemala. Alcune speranze si sono avverate, altre rimangono speranze, con la coscienza che rimarranno tali fino alla fine dell’anno di servizio.
Per quanto riguarda i nostri compiti ci sono stati dei momenti, ad inizio servizio, in cui ho dubitato saremmo riuscite a portare a termine qualcosa di buono. A noi viene data la completa responsabilità e libertà su come gestire ed operare con le comunità, cosa emozionante da un lato, ma portatrice d’ansia dall’altro. Un senso di incapacità mi travolgeva alcuni giorni, mi domandavo se fossi mai stata in grado di concludere o almeno iniziare qualcosa. Alla fine il tempo aiuta come in ogni cosa e, nonostante le difficoltà organizzative, di comunicazione e di conoscenza sul campo, sono riuscita ad iniziare differenti attività nelle comunità. Questo mi dà molta soddisfazione e soprattutto mi dà la forza per continuare a spendere le mie energie (che sono tante!) in questo modo.
Quando penso a dove sono e cosa sto facendo mi sento fortunata. Dall’arrivare da sola, andare a parlare con il sindaco o con i leader comunitari per organizzare diverse attività, al passare di casa in casa per proporre interviste ai locali. Coi bambini è più semplice, gli adulti si mostrano sempre diffidenti all’inizio, ma dopo qualche battuta iniziano a rilassarsi, a sorridere e a fidarsi di me, l’alta canchita (biondina) che viene da lontano. Dall’altro lato mi sto rendendo conto di come certe modalità di lavoro non potranno cambiare o migliorare in questi prossimi sei mesi. Il diverso modo di lavorare è qualcosa a cui bisogna abituarsi e adattarsi. Se si pianificano delle attività che vengono approvate a inizio settimana potrebbe sempre succedere che la sera prima ti venga comunicato che tutto cambia e che devi andare in un altro posto perché è più importante (senza sapere il perché). Saltano in aria tutti i tuoi piani ma cosa ci puoi fare? Niente. Cercare di non arrabbiarsi troppo e confidare nella compagna di servizio Adele che ti espone pacatamente i motivi per cui innervosirsi non ha senso. Soprattuttoperché la maggior parte delle volte ti rendi conto che avresti potuto fare sia quello che avevi pianificato sia ciò che ti viene richiesto lo stesso giorno; ma a perdere tempo sono veramente specializzati!
Credo che questa modalità di operare sia di grande aiuto al mio carattere, a volte forse troppo rigido e controllato. Di fondamentale importanza sono state le altre civiliste in Guatemala. Oltre alla mia compagna, con la quale c’è assoluta compatibilità, loro sono state fondamentali e lo saranno anche nei prossimi mesi per condividere, quasi ogni fine settimana, esperienze, timori, gioie, traguardi, difficoltà. La necessità di poter comunicare con qualcuno che venga da un posto come il tuo e che possa capire quello che hai bisogno di raccontare è fondamentale durante un anno lontano dai confidenti abituali.
Ora, pensandoci, ci sono tutta una serie di altre necessità che mi sembravano insuperabili al mio arrivo, ma che ora quasi dimentico. Se mentre mi faccio la doccia finisce l’acqua e rimango al freddo con i capelli insaponati basta prendere una bottiglia di acqua potabile e sciacquare. E la pioggia tutti i pomeriggi? Ecco, diciamo che a questo mi devo ancora adattare visto che la stagione piovosa è iniziata solo qualche settimana fa. Ma ci si fa l’abitudine! Intanto gli amici ci hanno prestato una chitarra che scaccia ogni difficoltà, anche nei giorni di pioggia.
Circa un mese fa Adele ha deciso di ritornare in Italia e interrompere il suo servizio. Un bel pianto per salutarla e la convinzione che inizierà un’altra esperienza, ancora diversa. Nuove persone stanno entrando nel mio percorso insieme a sfide, difficoltà e voglia di continuare!
Silvia Arcandi – SCN in Guatemala con ASPEm