IN MAROCCO TRA TRADIZIONE E MODERNITÀ

Scrivo questo articolo al termine della mia esperienza di servizio civile, 10 intensi e lunghi mesi trascorsi in Marocco. Sono partita dall’Italia con entusiasmo e con la voglia di essere inserita in contesti diversi dalla mia quotidianità italiana.

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Grazie al progetto di OVCI da inizio febbraio abbiamo aperto un servizio integrato gratuito di fisioterapia, logopedia, educazione speciale e fabbricazione di semplici ausili ortopedici in gesso vicino a Rabat dove i principali beneficiari sono bambini con famiglie in difficoltà. Lì mi occupo di fornire un ciclo riabilitativo intensivo di fisioterapia, al termine del quale ci si reca direttamente nelle case in presenza di un volontario. Un vicino di casa, una persona che viva nello stesso quartiere in modo tale che le famiglie abbiano sempre un punto di riferimento a cui rivolgersi in caso di bisogno e che aiuti loro nella gestione del figlio disabile.

Qui in Marocco ho avuto la possibilità di vedere un paese con una diversità straordinaria: dalle città imperiali con la loro arte zellije, alle foreste con le scimmie vicino Meknès, all’Oceano Atlantico con le sue onde in cui fare surf, alle calme acque cristalline del Mar Mediterraneo, alle maestose dune del deserto del Sahara a dorso di un cammello al tramonto, alla montagna più alta del nord Africa, il Toubkal, che posso dire con soddisfazione di averne raggiunto la cima.

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Ma la vera faccia del Marocco, quella che va al di là dei tè alla menta, del richiamo alla preghiera degli Imam e delle caotiche medine, è quella che ho potuto sperimentare grazie al lavoro sul campo delle visite domiciliari. Una parte più autentica, fatta di semplicità e genuinità che è possibile scoprire solo quando si ha la fortuna di vivere a lungo in un paese estero.

Sono entrata in contatto con storie di donne, di famiglie e di bambini che mi hanno cambiata nel profondo, in cui era impossibile rimanere insensibili e indifferenti.

Ho incontrato per esempio la mamma di Malak, che nonostante abbia due figlie con disabilità e il marito non abbia voluto riconoscerle, non si fa vincere dallo sconforto e si impegna quotidianamente nel portare le bambine al centro partecipando attivamente alle terapie.

Visita domiciliare Mohamed AmineHo incontrato la famiglia di Mohamed Amine, che è stato abbandonato dai genitori quando era piccolo. Se ne sono presi carico i nonni, due persone splendide, forti e fiere, che nonostante la loro età affrontano il caldo e la lunga strada per arrivare a fare le sedute di fisioterapia.

Ho incontrato Aroua, una bambina di 4 anni dell’orfanotrofio di Meknes, abbandonata narcotizzata davanti alle porte dell’ospedale un paio di mesi fa; nonostante questa situazione è riuscita ad adattarsi al contesto e a trovare Soukeina, l’amica con la quale condivide tutte le attività educative. Vedere come si sostengono a vicenda aiuta a trovare il bello anche in circostanze così difficili e fa riflettere su come gli occhi di un bambino siano immuni ai problemi che li circondano.

Prese singolarmente queste storie ti mettono a dura prova e possono arrivare a spezzarti, ma quello che ho imparato è che è meglio concentrarsi su quello che si può fare e pensare che il proprio apporto, nel suo piccolo,stia donando qualcosa.Il primo lavoro da fare è su sé stessi e si arriva a sviluppare inconsapevolmente una capacità rara ma indispensabile, vitale: la resilienza.

Oltre che nel campo lavorativo questa qualità torna utile anche nella routine di tutti i giorni, per poter accettare di vivere in paese intriso da mille contraddizioni culturali in cui coesistono tradizione e modernità. Si passa da luoghi dove è difficile trovare una birra a locali dove ti senti in Europa, da donne che portano il burqa integrale a ragazze che si vestono all’occidentale, da bidonville a cielo aperto a palazzi con architetture moderne. L’aver vissuto in questo luogo caratterizzato da mille sfaccettature significa per me aver avuto la capacità di adattarsi, aver iniziato a guardare meno alle differenze ma più alle somiglianze, a non sentirmi più straniera ma parte di un qualcosa che mi fa sentire a casa.

Bin El Ouidane, Marocco

Ecco perché, nonostante tutto, non cambierei neanche un giorno della mia esperienza di servizio civile. Tutto ciò mi fa dire che, se mi ritrovassi ancora di fronte a quell’aereo in partenza per il Marocco, non esiterei un secondo a prenderlo.

 Anna Bertazzo

Casco bianco a Rabat con OVCI

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