Un patrimonio inestimabile quello del Perù, fatto di migliaia di sfumature che colorano le sue vaste regioni naturali, in particolare quelle amazzoniche, che si estendono per più del 60% del territorio nazionale. Con 1700 varietà di volatili, una gran quantità di mammiferi e una miriade di specie animali e vegetali, la presenza della foresta pluviale rende il Paese latinoamericano tra i più biodiversi del mondo.
Tra le meraviglie di questo immenso tesoro tropicale trionfa una creatura che si distingue per la sua impressionante attività simbiotica con l’homo amazzonicus. Stiamo parlando del motocarro – chiamato anche mototaxi – più precisamente della varietà locale peruvianensis, specie non endemica originaria dell’Estremo Oriente e diffusasi nell’arco di poco tempo, a partire dagli anni ’60 del XX secolo, in Thailandia, India e in altre zone del continente asiatico centro-orientale, estendendosi in seguito anche in molte regioni dell’America Latina, così come in parte dell’Europa e del Medio Oriente.
Resistente a climi estremi e a terreni altamente accidentati, in grado di proliferare in ecosistemi urbani dove semplice è la sua manutenzione, economico l’approvigionamento energetico, alto il tasso di disoccupazione, e dove piuttosto scarso è il controllo statale, il motocarro ha conquistato, ivi stabilizzandosi, le aree basso-tropicali peruviane, in seguito a rapide ondate migratorie transoceaniche generate dall’espansione massiccia dei mercati asiatici, di fatto sbaragliando la concorrenza delle altre specie a quattro ruote a lui imparentate.
Il segreto di un tale successo risiede nell’alleanza strategica che il nostro triciclo ha stretto con l’uomo della selva, resa possibile da una serie di fattori ambientali, strutturali e sovrastrutturali. Il beneficio è biunivoco: il motocarro riceve nutrimento, cure e attenzioni dall’homo amazzonicus, e quest’ultimo ricava svariati vantaggi diretti e indiretti dal suo utilizzo, principalmente di tipo economico e logistico. Nondimeno il motocarro svolge un’importante funzione di regolazione termica sull’uomo della selva. Esso infatti contribuisce ad abbassare notevolmente la temperatura esterna percepita dal suo guidatore e dai suoi passeggeri, abbattendo così il malessere provocato dal clima inclemente delle ore centrali dei giorni di sequía.
Tra i comportamenti più curiosi che questa strana creatura adotta durante il suo periodo riproduttivo (che va da gennaio a dicembre) vi sono le sessioni di corteggiamento nei confronti degli ingenui gringos appena atterrati nei piccoli aeroporti cittadini – o degli autoctoni in uscita dai locali della movida selvatica – allorché il motocarrus, tipico animale sociale che ama pascolare in gruppo, intraprende una rumorosa e goliardica lotta con i suoi simili per accaparrarsi l’esclusiva del passeggero a suon di ribassi in nuevos soles peruviani. Degna di nota è anche la sua capacità di trasportare una variegata gamma di persone, oggetti, animali e materiali pericolosi e/o altamente infiammabili in quantità variabile tra l’unità e l’∞, sfidando le leggi della fisica newtoniana e le più elementari norme della pubblica sicurezza.
- Esemplare di motocarro immortalato nell’atto di trasportare prede suine.
- Foto per gentile concessione del compañero Fabio Malvestiti.
La selezione naturale che ha portato al successo il motocarrus peruvianensis ha prodotto, nel tempo, effetti non trascurabili nel tessuto economico locale, nella geografia urbana e all’interno della rete delle relazioni con gli altri esseri che condividono con lui spazi e risorse. Data la sua importanza strategica nel mantenimento dell’equilibrio ecosistemico tropicale la sua esistenza non risulta essere significativamente minacciata dagli altri abitanti della zona.
Tuttavia, in alcuni casi, sono stati rilevati fattori di disturbo dell’integrità fisiologica e della libertà di movimento dei motocarri. Ad esempio nella città di Iquitos, negli ultimi anni, sono state avanzate proposte – solo in parte attualizzate – a livello municipale e di associazioni civiche, di abbassare il livello dell’inquinamento acustico provocato dal flusso continuo dei motocarri, fonte di notevole stress per l’abitante locale e per il forestiero di passaggio, attraverso l’installazione di silenziatori o la parziale chiusura al traffico di alcune aree urbane. In realtà tali minacce, a parte pochissime eccezioni, risultano essere vane o inefficaci, non avendo la capacità di modificare a grande scala né il flusso né il comportamento della popolazione dei motocarri selvatici, i quali continuano liberamente a relazionarsi tra di loro – e tra loro e i loro umani conduttori – con i propri codici di comunicazione (motori, clacson e freni), scorrazzando per la città ad ogni ora del giorno e della notte.
Oltre a ciò, non è raro registrare casi in cui il rapporto di simbiosi tra motocarro e uomo degenera in relazione di parassitismo del primo a danno del secondo. Questo accade, per esempio, quando il motocarro assorbe eccessiva energia e tempo dal suo simbionte umano, il quale è costretto ad affrontare lunghe giornate lavorative, in una posizione innaturale, inalando smog per ore, in un contesto dove l’offerta del servizio di trasporto pubblico in mototaxi è assai elevata e che per questo gli garantisce scarsi ingressi economici – senza contare la prevedibile inadeguatezza del sistema di protezione sociale (ma qui si entra nel campo delle ipotesi). Tutto ciò, come è palese, va a discapito non solo della salute dello stesso lavoratore ma anche di quella dell’ambiente che lo circonda: aria, acqua, suolo, flora, fauna e il resto della popolazione umana.
In definitiva, nonostante queste contraddizioni, il rapporto che lega motocarro ed essere umano risulta imprescindibile, in quanto molto spesso all’uomo amazzonico la natura urbana del luogo non sembra offrire alternative migliori alla sua sopravvivenza. Tuttavia, diversi autorevoli scienziati ed accademici che negli ultimi tempi hanno studiato il comportamento dei motocarri si aspettano che nel prossimo futuro una qualche forma di mutazione accidentale nel loro codice genetico possa avviare un processo evolutivo che generi una più profonda armonia tra il treruote selvatico e l’ecosistema umano che lo circonda. C’è da augurarselo sinceramente.