Fino all’ultimo albero

La foresta amazzonica è enorme, 7 milioni di km², un’estensione che noi con la nostra limitata percezione umana dello spazio non riusciamo a cogliere nel suo complesso. Possiamo immergerci nella sua incredibile natura camminandoci per 3 ore, viaggiare per un giorno intero in barca navigando lungo un fiume o ammirarla sorvolandola per un paio d’ore su un piccolo aereo. Nonostante i nostri sforzi per quanto estasiati da tanta bellezza non riusciremmo comunque a cogliere per intero la sua grandezza. La selva amazonica, come la chiamano da queste parti, è patrimonio di 9 paesi Latinoamericani e costituisce l’ultima zona del pianeta che l’uomo non è riuscito a conquistare del tutto, a controllare, a modificare e plasmare secondo la sua volontà. Ci sta provando, l’umanità, a prendersi anche l’amazzonia, in maniera legale e illegale, spesso senza nessuna logica o visione globale, futura e sostenibile. Vengono deviati fiumi, costruiti impianti per l’estrazione di materie prime, rasi al suolo boschi per lasciare spazio a mono coltivazioni e a infrastrutture che favoriscano il commercio, costruite linee elettriche che trasportano energia per centinaia di chilometri e tanti altri interventi più o meno invasivi. L’elemento base della foresta amazzonica sono gli alberi e inevitabilmente la risorsa naturale per eccellenza non può che essere il legname.
Spinto dal desiderio di espansione, dalla ricerca del profitto, dalla necessità di materie prime, lentamente, inesorabilmente, l’uomo sta trasformando radicalmente l’amazzonia e il suo ecosistema così come ha fatto in Europa, Africa, Cina, Australia, Stati Uniti. Nella foresta amazzonica però le condizioni e il momento storico sono molto diversi.
Le grandi differenze rispetto al passato sono la velocità con cui la trasformazione della natura avviene e le ripercussioni globali che ne conseguono. Per questo oggi la stessa umanità si è data attraverso il diritto internazionale dei confini da non superare per limitare la sua azione, renderla meno distruttiva, per evitare danni irreparabili. Esistono leggi chiarissime per tutelare l’ambiente e i diritti delle popolazioni che vivono all’interno della foresta amazzonica.
Il riconoscimento dei diritti dei popoli indigeni sanciti nella Convenzione ILO 169 e il diritto internazionale ambientale sono elementi che entrano fortemente in collisione con le attività economiche in corso nella zona. Ad oggi sono migliaia i conflitti socio ambientali in corso in Perù e nel resto dell’amazzonia. Oltre al conflitto però c’è anche l’opportunità di costruire un tipo di sviluppo diverso, che sia sostenibile e rispettoso dei diritti umani e allo stesso tempo sia in grado di apportare benefici a quelle stesse comunità che popolano le zone più remote dell’amazzonia rispettandone la cultura e le necessità.
Il Perù è firmatario della Convenzione ILO 169 che tutela i diritti dei popoli indigeni garantendo il riconoscimento e la protezione di questi di fronte allo stato, la proprietà terriera, l’uguaglianza, la libertà, l’autonomia decisionale, il diritto ad essere consultati in caso vengano realizzati progetti economici nelle aree in cui vivono. L’applicazione pratica di questi diritti vuol dire che, teoricamente, le comunità possono disporre liberamente delle risorse naturali presenti nelle loro terre. Quindi se una comunità riesce a svolgere le pratiche burocratiche necessarie ottenendo il riconoscimento dallo stato peruviano, può decidere cosa fare con la propria terra e con le risorse presenti in essa. Nel caso specifico dei boschi si può scegliere di proteggerli ma anche di sfruttarli in maniera adeguata, tagliando gli alberi nel rispetto delle norme ambientali, per venderli e trarne un profitto da utilizzare realizzando opere a beneficio della comunità.
In un mondo ideale una qualsiasi comunità indigena dell’amazzonia peruviana, legalmente riconosciuta dallo stato, si riunisce in assemblea, analizza il suo territorio, decide che parte di bosco destinare alla conservazione e allo stesso tempo ne individua un’altra i cui alberi saranno tagliati e venduti a imprenditori e commercianti di legname. Il denaro ricavato viene utilizzato per migliorare la vita comunitaria secondo le esigenze che quest’ultima decide. Tanto per non farsi mancare nulla la comunità poco a poco riforesta dove ha disboscato. In questo modo tutela l’ambiente e si garantisce uno sviluppo sostenibile. Tutti contenti, la comunità autodeterminata, lo stato peruviano che tutela le comunità indigene e fa rispettare la legge, l’ONU che vede l’applicazione pratica delle sue grandi dichiarazioni e convenzioni, le ONG, gli imprenditori che fanno volare l’economia peruviana che anche quest’anno si stima crescerà di quasi il 5%. Purtroppo la realtà è ben diversa.
Vediamo cosa succede a volte nella pratica raccontando il caso della comunità nativa di Esperanza in cui abbiamo lavorato negli ultimi giorni, situata nei pressi della Riserva naturale di Pacaya Samiria. La comunità non è stata ancora riconosciuta dallo stato (il processo è in corso e senza dubbio andrà a buon fine) però già si è presentato uno dei tantissimi commercianti di legname (madereros) offrendosi di sfruttare una parte della risorse comunitarie tagliando alcuni alberi (300) per poi rivenderli. La comunità riceverà una somma di 18.000 Nuevo soles (circa 5.100 €), ovviamente il maderero si è incaricato anche di tutte le pratiche burocratiche. Quindi la comunità ha dovuto soltanto dire sì e prepararsi a incassare.
Non sembrerebbe nemmeno troppo negativa se non fosse che, conversando con la comunità sui dettagli dell’accordo, è emerso un quadro molto più complesso.
– Per prima cosa il valore commerciale del legname ceduto dalla comunità al commerciante è 3 volte superiore rispetto a quanto pattuito tra le parti, quindi in pratica il maderero sta truffando la comunità.
– Dato che la comunità non è stata ancora legalmente riconosciuta, per sbrigare le pratiche burocratiche ed essere autorizzato a tagliare gli alberi rispettando la legge, il maderero ha creato un’associazione fittizia falsificando anche la firma dell’Apu, ovvero l’autorità della comunità.
– Nel contratto realizzato dal maderero risultano più alberi di quelli che vengono realmente tagliati (la legge è molto precisa su quanto e cosa si possa tagliare), in questo modo può disboscare illegalmente in altre zone trasportando il legname senza rischi dato che, in caso di controllo, potrà dichiarare di aver preso gli alberi dalla comunità di Esperanza. Puro e semplice riciclaggio di legname.
Considerando quanto previsto dalla Convenzione ILO 169 sulla proprietà della terra e dei benefici per la comunità, il legislatore peruviano ha deciso “saggiamente” che a dover figurare nei documenti sia solo la comunità e nello specifico l’Apu. In caso di delitto ambientale tutta la responsabilità ricade su di loro. La legge riconosce solo la possibilità di individuare terzi responsabili in caso di danni all’ambiente. A livello legale il maderero che si occupa di preparare i documenti, tagliare, trasportare e rivendere il legname, semplicemente non esiste. Questo vuol dire che se qualcuno dovesse scoprire tutte le illegalità del procedimento l’unico responsabile sarebbe l’Apu, che oltre a dover pagare una multa enorme potrebbe anche finire in carcere. La presenza del maderero nell’operazione dovrebbe prima essere individuata da un’indagine e successivamente dimostrata ogni sua responsabilità penale in tribunale. A livello giuridico, purtroppo, la legge può avere anche una sua coerenza e conformità con il diritto internazionale, quello che lascia fortemente perplessi però è la volontà politica del legislatore.
Casi come questo della comunità di Esperanza sono la normalità e non l’eccezione nell’amazzonia peruviana e non vale solo per il legname ma per tutte le risorse naturali che abbondano in questa terra. Per comprendere quanto il problema sia complesso bisogna aggiungere un ultimo elemento, ovvero il comportamento della comunità di Esperanza. Durante l’incontro con la comunità è stato spiegato il funzionamento della legge, illustrato come il maderero li stesse truffando pagando il legname un terzo del dovuto, e sono stati sottolineati tutti i rischi penali legali legati alle loro decisioni. Nonostante ciò la comunità non si è minimamente posta il problema di riconsiderare la sua decisione. Legittimo senza dubbio. L’autodeterminazione e l’autonomia decisionale sono principi fondamentali della Convenzione ILO 169 e la base di qualsiasi intervento di Cooperazione Internazionale. Però fa male vedere tutto questo. Inoltre una delle cose che fa riflettere è la motivazione principale addotta dalla comunità, ovvero la necessità di denaro per l’imminente festa cristiana della patrona che richiederà ingenti spese per cibo, animatori, alcool ecc.
Se si vuole veramente riflettere sulla difesa della foresta amazzonica come obiettivo globale è necessario per prima cosa capire che siamo di fronte a un qualcosa di molto più complesso di quanto ci appare da lontano negli articoli che leggiamo su internet, negli slogan ecc. dove spesso si divide il mondo in buoni e cattivi, si semplifica la realtà perché è più facile pensare che la soluzione sia a portata di mano ma non si vuole raggiungere. Dobbiamo pensare che siamo di fronte a una sfida che tocca tantissimi aspetti della società: educazione, economia, corruzione, povertà, politica, progresso e difesa della culture locali, diritti umani ecc. Forse uno dei primi passi che possiamo fare è individuare tutti gli attori coinvolti, senza pregiudizi ma con una sincera volontà di comprendere, accettando che ci sono responsabilità importanti per ognuno ma anche potenzialità che si deve cercare di sfruttare.
Le istituzioni internazionali: importantissime e bravissime nella teoria ma carenti al momento di controllare l’applicazione degli alti principi esposti nelle Dichiarazioni e nelle Convenzioni.
Lo stato peruviano: formalmente impegnato nel rispetto dei trattati e promotore di uno sviluppo equo e sostenibile ma la cui corruzione è endemica, le risorse destinate al controllo del territorio sono minime e molto spesso le leggi sono volutamente ambigue o carenti. Responsabilità di ciò va in primo luogo alla politica, la più alta delle occupazioni, oggi degradata agli occhi dei cittadini a qualcosa di sporco e inutile. I politici, non solo quelli peruviani, sono i primi responsabili di questo degrado, onnipresenti e bravissimi con le parole prima delle elezioni, velocissimi a cambiare idea e sparire una volta eletti.
Le ONG: esperte conoscitrici del territorio e abili nell’individuare i problemi meglio degli stati stessi, ma spesso incapaci di intervenire in maniera efficace quando si tratta di affrontare un problema con ripercussioni a livello globale (l’inquinamento, la fame, la deforestazione ecc.). Spesso non riuscire a fare rete di fronte a questioni troppo grandi per essere affrontate da un singolo soggetto è un grosso limite. A volte poi si rimane troppo concentrati su stessi e sulle dinamiche interne, i propri progetti, e oggi più che mai in tempo di crisi economica, sull’esigenza primaria di sopravvivere.
L’imprenditoria: una parte punta solo ed esclusivamente al profitto, ed è disposta a tutto pur di raggiungerlo, senza preoccuparsi minimamente di avere un’etica o delle conseguenze ambientali e sociali dello sfruttamento delle risorse. In questo modo chi è onesto, chi rappresenta una forza attiva e vitale che può generare ricchezza e benessere nella società viene schiacciato da una concorrenza sleale.
L’opinione pubblica: sarebbe ora che si riuscisse a pensare a livello globale, con la propria testa, preoccupandosi dei problemi sempre, non solo quando ci toccano in prima persona.
Le associazioni locali e nazionali dei popoli indigeni: hanno ottenuto grandissimi risultati ma non devono adagiarsi. Dopo secoli di ingiustizia e violenza queste associazioni hanno la grandissima opportunità di essere più che mai protagoniste, ma non devono rimanere invischiate nel gioco politico o trasformarsi in qualcosa di simile a un partito come quelli che affollano i parlamenti, in balia delle dinamiche del potere e con una struttura burocratica lontana dalla gente e dal territorio.
Le comunità della foresta amazzonica: a volte dipinte in maniera caricaturale come nemiche del progresso, spessissimo raggirate e truffate. Colonizzate in passato, recentemente anche sfruttate come manodopera a basso costo. Da alcuni addirittura volgarmente ridicolizzate per il loro modo di vedere il mondo, da altri eccessivamente idealizzate come simboli di un mondo così distante dal nostro che non può non affascinare. Oggi queste comunità sono potenziali detentrici di diritti potentissimi la cui reale applicazione può passare soltanto da una profonda presa di coscienza delle proprie potenzialità e limiti, da un percorso di lotta che metta al centro la difesa della propria cultura, la responsabilità verso la propria terra e le future generazioni.

IMG_9267La selva vista dall’alto
IMG_8841Comuneros di Esperanza
IMG_8811La comunità di Esperanza
IMG_8939Alba sul rio Huallaga

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