È lo stato che il Che aveva definito il “cuore del Sud America” in uno dei suoi scritti. Nascosto e indispensabile come l’organo a cui viene paragonato dal personaggio che ancora viene ricordato come un eroe, anche se i tratti che definiscono il suo viso sono europei, la sua pelle bianca, i capelli ricci e la barba: non esattamente un boliviano tipico.
Non mi sono mai sentito davvero un gringo qui: forse uno degli aspetti più belli di La Paz è proprio la sua apertura.
Nonostante sia capitale di una nazione che si caratterizza per la sua identità culturale indigena varia e multiforme (36 gruppi etnici nativi sono stati riconosciuti e rendono la Bolivia ufficialmente un Estado Plurinacional) non si stanca di ospitare stranieri.
Camminare per questa città, incastrata nei meandri della valle che la ospita, è diventato familiare e piacevole, nonostante la confusione e il traffico siano fusi nell’essenza della capitale. È un’accoglienza fredda e distaccata di un popolo che, d’accordo con la geografia della loro patria, vive isolato, un po’ perso nell’aria rarefatta delle Ande, ma ricco sotto la superficie.
Silenziosa è la Bolivia, tace alle orecchie del viaggiatore superficiale. Il suo tesoro, la sua perla: la sua cultura vive nascosta agli occhi dei più.
E se mi viene chiesto di raccontare un aspetto positivo dei miei primi 6 mesi di Servizio Civile, non ho dubbi: è la fortuna di sentirmi – almeno un po’ – dentro questo luogo, questo mistero che è la Bolivia. È una scoperta passiva, una conquista per rilassamento, volgare, ma non priva di meraviglia e piacere. E come per ogni viaggio ben fatto si compone di piccole cose, di intesa e complicità; è un’esperienza che si deposita piano nel mio carattere e nella coscienza sottile che mi definisce come persona e che segnerà il mio modo di scegliere nel futuro.
Luca Gandola – SCN in Bolivia con ASPEm