Al ritmo del Rio

Mi lascio trasportare cullata da questo rio e dal barco nel quale sto viaggiando. Dal rumore del suo motore che all’inizio mi sembrava così insopportabile e ora, invece, è una dolce musica di sottofondo. Lascio che i raggi del sole penetrino nella mia pelle e mi scaldino le ossa. Sorrido, è quasi un anno che non mi capitava di stare in pantaloncini e canottiera. Che sogno. Io che ho sempre odiato il caldo, ne sentivo nostalgia quasi più che di una pizza italiana. Il freddo di Cusco mi stava consumando.

Non ne potevo più di maglioni di lana, della borsa dell’acqua calda che a forza di utilizzarla sta lasciando dei segni sulla pancia come marchi indelebili, di quell’immancabile raffreddore e tosse, di dovermi preparare thermos su thermos. Avevo voglia di caldo, quel caldo così intenso da farti sudare. Avevo voglia di assaporare una breve parentesi di estate, di prendere un po’ di tempo per me stessa, stare un po’ da sola, uscire dal contesto della Sierra e vedere qualcosa di differente e nuovo, salire su un aereo e atterrare in una città sconosciuta.

Scesa dall’aereo, l’impatto iniziale è stato traumatico. In poco meno di due ore sono passata da cinque a trenta gradi, da 3.300 metri di altitudine al livello del mare. Vengo investita da un’ondata di calore e umidità che quasi mi toglie il respiro. Prendo al volo un moto taxi e ho un flashback: estate 2017, Africa, Mozambico, Maputo. Stesso caos e confusione, le palme che costeggiano i bordi della strada, alberi di platano e cocco, calore e zanzare, mototaxi che sfrecciano a tutta velocità. E in lontananza già vedo il rio, un rio che è così grande da sembrare il mare.

Fin dal primo istante mi rendo conto che Iquitos è una città pazzesca, folle, estremamente difficile da descrivere e comprendere. Iquitos non è il Perù che ho conosciuto fino ad ora, mi sento catapultata in un altro paese, in un contesto totalmente differente da quello della Sierra. Dalla comida (cibo), al modo di parlare, ai tratti somatici dei suoi abitanti, la selva è un altro mondo e per me una novità assoluta tutta da scoprire.

Passeggiando per il Mercato di Belen sono invasa da odori forti e penetranti. Sui banchi dei commercianti vedo oggetti rari: teste di coccodrillo, uova di tartaruga, animali di cui non conosco il nome, pozioni afrodisiache e amuleti di ogni genere. Al porto di Nanay per la prima volta nella mia vita mangio il suri, una larva cotta alla griglia e venduta su un piatto come se fosse uno spiedino. Chiudo gli occhi mentre lo mangio e mi costringo a pensare che NO, non sto mangiando un verme, e alla fine in realtà risulta più facile del previsto e mi sembra di mangiare un semplice spiedino di pollo. Mi fermo per strada a provare l’aguaje, un frutto esotico di un arancio intenso e dallo strano retrogusto che si consuma accompagnato con un pizzico di sale.

Visito alcune comunità lungo il rio facendomi guidare da una famiglia locale incontrata per caso sul barco, dov’ero l’unica gringa, e  mi accompagnano a visitare cascate magiche. Completamente vestita mi bagno con acqua che sgorga direttamente dagli alberi di questa foresta, resto senza parole dinnanzi alla vista della lupuna, un albero gigante, che arriva a settanta metri, difficile da abbracciare e da ammirare in tutta la sua bellezza.

Lupuna
Lupuna

Trascorro tre giorni all’interno della riserva naturale Pacaya Samiria. Un paradiso per il corpo e per la mente, ne ritorno completamente rigenerata. Le giornate nella riserva scorrono lente tra passeggiate notturne alla ricerca di anaconda e serpenti dai colori fluorescenti, caccia di caimani, ed escursioni in pagaia sotto le stelle. I rumori della foresta durante la notte sono uno splendido concerto. La migliore orchestra che abbia mai ascoltato.

La prima volta che nuoto nel rio sono terrorizzata, ho paura dei piranha. E il fatto che questo rio sia tanto marrone da non poter vedere chi lo abita mi inquieta. Ma è una questione di necessità e virtù, è l’unico modo per lavarsi e poi ho bisogno di rinfrescarmi. Poi però una volta che sei dentro, ti lasci trasportare dalla sua corrente, anche se non sembra è davvero forte! Ma quando, dopo poco, un delfino rosato ti passa accanto nuotando al tuo fianco non riesci a trattenere le lacrime di gioia.

La settimana vola, e senza che me ne accorga mi ritrovo sul volo per tornare a casa, alla mia Cusco. Mentre dal finestrino dell’aereo guardo il rio che scorre lento sotto un mare di nuvole circondato dalla foresta amazzonica, penso a quanto questo paese non smetta di stupirmi e ogni volta sappia regalarmi magiche emozioni.

Lucia Venturelli, Casco Bianco con FOCSIV a Cusco, Perù.

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